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Novembre 2011

Care 1 & Care 2 © Matteo Capaia

 

Matteo Capaia nutre interesse per diversi aspetti della realtà circostante, come si nota sfogliando la sua produzione. L’attenzione rivolta a elementi di natura e di architettura gli ha permesso di fare associazioni tra questi due mondi scoprendo quegli aspetti geometrici presenti nella realtà. E’ natura dell’uomo catalogare gli oggetti cercando in essi la primitiva forma  geometrica; le sue immagini rivelano, a sguardo attento, un tal tipo di connessione logica.

Matteo, inoltre, nei suoi scatti ha fatto ricerca sulle qualità dei  risultati dell’immagine nelle diverse tipologie di pellicole Impossible. L’incontro con la fotografia a sviluppo immediato è divenuto, almeno per lui, strumento di studio e di indagine.

L’acquisizione di conoscenze tecniche è importante per un fotografo ma non si può nascondere che la sola tecnica, senza la consapevolezza della scelta del punto di vista, dell’equilibrio tra luce e composizione, ha poco senso.

L’indagine sul lavoro di Capaia offre una riflessione sulla figura femminile ritratta in Care 1 e Care2 .

Le immagini in questione mostrano una scelta oculata del fotografo del supporto e della composizione.

Le pellicole usate sono la “Chocolate” nel positivo e nella scansione del negativo della “Tipo 55” che ci fornisce strumenti di lettura nella variazione dei contrasti e di alcuni particolari.

In Care 1 la figura femminile, posizionata di tre quarti, sembra non entrare totalmente nell’inquadratura visto che  spalla e  mano destra e viso appaiono tagliati.

Qui del volto è esclusa totalmente la fronte; ciò aumenta la sottolineatura della linea fortemente scura delle ciglia e imprime vigore alle labbra. Lo sguardo, con quel nero delle ciglia, è evidentemente abbassato e l’osservatore, quasi introdotto all’interno della fotografia, segue il contorno delle rose, secche, e il profilo della mano che le serra. Il positivo, anche per la durezza dei contrasti chiaroscurali, rivela la melanconia che la donna vive all’interno per avere tra le mani fiori “morti”.

Care 2 propone un ritratto in cui il volto è intero. Apparentemente simile al precedente, ma quanto la luce, qui naturalmente graduata, muta comunicazione? Il volto è intero e gli occhi ora visibili, vuoti, persi, estroflettono all’esterno tale sentire. Dunque, non più concentrazione interna, ma trasmissione al pubblico di quel senso di desolazione. Il corpo in entrambe le immagini è appena definito perché il fuoco cade sul viso e le rose.  In Care 2 la mano è scomparsa e i giochi chiaroscurali sono qui leggibili nei capelli che definiscono l’ovale del viso e nelle rose rosse, scure, rispetto all’unica bianca.  La luce, diffusa, profila contorni più dolci.

L’analisi non trova qui un suo punto d’arrivo. L’immagine è stata indagata, ma credo giusto riprendere il senso dell’interesse di Matteo per la natura. Nel vuoto della donna, determinato dal contatto con un pezzo di natura “morto”, il fotografo racconta sè stesso e la solitudine che crea l’interruzione con la realtà di natura.

 

Caterina De Fusco

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